“Quella di oggi non è l’età della creazione, ma del collezionismo”
Con questa frase, che cito dalla sua biografia, Peggy Guggenheim sembra tarpare le ali a ciò che viene dopo o, più precisamente che “non è compreso tra” i grandi nomi del ‘900.
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Peggy Guggenheim, heiress, art collector, patroness, and philanthropist. Venice, 1950
©1996 from the Estate of David Seymour |
Il contesto della frase, di cui riporto un estratto qui di seguito, fa ben sperare agli artisti che si industriano a realizzare i loro percorsi a cavallo tra il ventesimo ed il ventiduesimo secolo:
«L’arte di oggi non mi piace. Penso che sia andata a ramengo proprio come conseguenza dell’atteggiamento finanziario oggi così diffuso. La gente rimprovera me per ciò che si dipinge al giorno d’oggi, perché ho incoraggiato ed aiutato la nascita di questo nuovo movimento (l’espressionismo astratto, n.d.r), ma io posso affermare di non esserne responsabile. [...] Gli artisti, secondo me, cercano troppo l’originalità: è questo il motivo per cui ci troviamo di fronte afd una pittura che non è più pittura. Per il momento dovremo accontentarci di ciò che ha prodotto il ventesimo secolo: Picasso, Matisse, Mondrian, Kandinsky, Klee, Léger, Braque, Gris, Ernst, Miró, Brancusi, Arp, Giacometti, Lipchitz, Calder, Pevsner, Moore e Pollock. Quella di oggi non è l’età della creazione, ma del collezionismo, che, se non altro, ci consente di preservare tutti i grandi tesori che abbiamo e di presentarli in maniera degna alle masse.» citazione tratta da Peggy Guggenheim – Una vita per l’arte – Ed. Rizzoli, novembre 2000.
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Charlton Heston interpreta Michelangelo in una scena del film: “il tormento e l’estasi” Photocredit by tr.wikipedia.org
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Il tormento e l'estasi...
L’artista da che mondo è mondo (o quasi) ha sempre avuto bisogno del mercato; dal committente al collezionista; tuttavia questo è stato quasi sempre un rapporto di amore e odio: si pensi per esempio al burrascoso rapporto tra Giulio II e Michelangelo Buonarroti, il quale tuttavia, grazie alla committenza del primo, non sarebbe mai riuscito a realizzare le sue più grandi opere. Tuttavia l’artista spesso diviene quasi nemico del suo mecenate (quando ha la fortuna di averne uno - soprattutto se ricco e in continua richiesta d’opere), in quanto forse si sente ridotto ad un mero “mezzo” mediante il quale il mecenate riceve la gratificazione di possedere l’opera eseguita (ed ancora di più, di averne contribuito in modo determinante alla possibilità di esistere). E forse proprio per questo sforzo di deputare la propria arte ad una richiesta, ad un gusto, ad un tema, che schiaccia ancora di più l’artista e lo lascia solo. Per questo forse le parole di Goethe sulla Sistina: “Senza aver visto la Cappella Sistina non è possibile formare un’idea apprezzabile di cosa un uomo solo sia in grado di ottenere” potrebbero avere un valore che va oltre il mero stupore di fronte alla fatica, seppur immane, di un abilissimo artista.
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"Vucciria di Palermo" Renato Guttuso, 1974
Università agli studi di Palermo (donazione dell'artista)
photocredit: Artinvest2000 |
Al mercato
Ma nel caso precedentemente citato, si stava parlano di epoche lontane; nell’arte moderna e contemporanea i “giochi” sono differenti ma non troppo: l’opera d’arte da parte degli acquirenti (che, a parte rari casi, solitamente divengono “sponsor” solo dopo che l’artista ha acquisito la legittimazione da parte dei circuiti museali) viene intesa come bene simbolico, come status sociale e possibile investimento.
L’artista “esordiente”, la “nuova proposta” deve cercare di rientrare nei giochi di mercato, che si fondano su criteri di riconoscimento (ovvero dal lavoro di critica), sponsorizzazione, divulgazione, e vendita (gestite da mercanti e collezionisti). L’artista deve necessariamente perdere il monopolio delle proprie opere per lasciarlo nelle mani dell’azione sinergica di queste componenti esterne.
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Bernard Berenson, renowned art critic and author, at the age of 90 in the Borghese Gallery. Rome, 1955
©1996 from the Estate of David Seymour |
Il sistema...
Francesco Poli, nel suo libro “Il sistema dell’arte contemporanea”, (lettura che consiglio a chiunque si voglia proporre nel campo dell’arte sotto qualsiasi aspetto: artista, critico, curatore, mercante e collezionista), fornisce un interessante affresco dell’arte e del suo mercato moderno e contemporaneo (lascio ad ognuno poi giudicare la completezza e i limiti del trattato che, personalmente trovo di ottimo livello) e nel settimo capitolo, dedicato agli artisti argomenta così sul ruolo dell’artista contemporaneo “come creatore e come produttore professionista riconosciuto” definendo il “rischio di alienazione dell’artista”:
Copertina del libro di Francesco Poli
edito da Laterza |
«La situazione paradossale dell’artista contemporaneo è che, da un lato, la sua figura viene per molti versi mitizzata, in funzione dell’ideologia dominante, in quanto simbolo e paradigma del valore “assoluto” della libera creatività individuale, ma, dall’altro lato, per poter emergere, affermarsi ed essere riconosciuto a livello socioculturale e socioeconomico, deve accettare, in misura più o meno pesante, di adeguare la sua produzione ai condizionamenti “normalizzanti” del sistema, con effetti indubbiamente alienanti. »
Citando poi gli studi dell’americana Barbara Rosemblum prosegue così:
«In teoria, l’artista può fissare liberamente da sé il prezzo delle sue opere, in ragione della loro unicità, ma in pratica la definizione del loro valore di scambio è determinato dal “dealership system”, che “opera una regolamentazione, introducendo costrizioni artificiali e una omogeneizzazione artificiale fra prodotti unici e dissimili” e assegna “un’etichetta estetica che è automaticamente un cartellino del prezzo” » da “Il sistema dell’arte contemporanea” di Francesco Poli, Editori Laterza, 2002
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Marcel Duchamp, Mile of String, 1942, New York
photocredit: www.marcelduchamp.net |
L'eterna domanda...
Ora, sembrerebbe indubbia l’alienazione, sembrerebbe svilito il processo creativo dell’artista inteso nel senso più puro del termine, sembrerebbe violentata la sua personalità, la sua libertà d’azione ed il controllo sul destino delle sue opere.
Ma non è forse l’arte patrimonio di tutti? Ed essendo sinceri, quanti artisti non ancora affermati cederebbero un po’ della loro libertà ed accetterebbero volentieri l’alienazione ed i giochi del mercato pur di poter vedere le loro opere, i loro sacrifici e la loro poetica portata là dove, da soli, non l’avrebbero mai potuta condurre? (Se non addirittura “produrre”…?)